27/10/2022 - 27/01/2023

Curva e retta. La linea nelle ricerche astratto-cinetiche italiane

Dal 27 ottobre 2022 al 27 gennaio 2023 la Galleria 10 A.M. ART di Milano, nella sua sede di corso San Gottardo 5, organizza la mostra Curva e retta. La linea nelle ricerche astratto-cinetiche italiane.


Così scrive il curatore Paolo Bolpagni:


 


Le ricerche astratto-cinetiche, nel loro pieno sviluppo e nei pionieristici esperimenti che le anticipano, si caratterizzano per alcuni elementi comuni: l’adozione di un lessico formale perlopiù geometrico, l’aspirazione, spesso, a indagare le modalità della visione, il perseguire la resa pittorica del dinamismo e dei fenomeni ottici e della luce, il ricorso frequente a effetti di modularità, pulsazione, permutazione, dissociazione o distorsione, il superamento del concetto tradizionale di arte come espressione, sopravanzato dall’indagine dei meccanismi percettivi e psicologici. Inoltre è stato essenziale, da parte degli esponenti di questa corrente, il ritorno ai fondamenti del linguaggio pittorico, spesso elevati a fulcro dell’indagine o risignificati.


Accostare le opere di Luigi Veronesi, Franco Grignani, Mario Ballocco, Lucia Di Luciano, Giovanni Pizzo, Ennio L. Chiggio, Claudio D’Angelo e Marina Apollonio serve anzitutto a misurare i rapporti tra due generazioni (i primi tre nati all’inizio del XX secolo, i restanti fra il 1933 e il 1940), e anche, in maniera parimenti importante, a riconoscere il valore e la varietà di ricerche che da un lato mostrano tuttora la loro forza e attualità, e dall’altro stupiscono per l’infinito campo di possibilità schiuso dall’utilizzo, in fondo, di pochi “ingredienti” di base. Di fatto, la musica occidentale è quasi interamente costruita su dodici semitoni: soltanto sette note e cinque alterazioni, da cui però è stato tratto quello che, da Bach a Mahler, è forse il più straordinario frutto creativo della civiltà umana. Così, per l’occasione della mostra organizzata da 10 A.M. ART, ci si è concentrati sulle facoltà generative della linea, peraltro in riferimento a un arco cronologico limitato a un ventennio, dai Contrasti simultanei di Mario Ballocco del 1956 al trittico Progetto di spazio di Claudio D’Angelo del 1976, con il solo sforamento temporale rappresentato dal ciclo unitario di dieci dipinti realizzato da Lucia Di Luciano nel 2003 Verticalità dalla 2 alla 11. In totale si tratta di venti opere, selezionate per i due livelli della galleria: al pian terreno quattro dipinti di Luigi Veronesi degli anni Settanta (Composizione Q12 del 1973, Composizione T2 del 1974 e, entrambe del 1975, Costruzione Epsilon Variante 4 e Costruzione Sigma 6), nei quali la linea è soprattutto lo strumento per acquisire la cognizione del trascorrere figurale del tempo interno all’infinito spaziale del piano, conquistandosi la capacità di fissarlo in una realtà ritmica, cosicché il singolo pezzo non è il traguardo conclusivo, bensì un istante “bloccato” nel fluire di una durata illimitata. Affiancate a questi lavori sono le vertiginose variazioni curve di Marina Apollonio (Verde + Blu 8N del 1966-1971, N. 44 Gradazione 8+8P nero bianco su nero del 1966-1972 e Dinamica circolare Cratere N del 1968), che mettono alla prova i meccanismi del nostro cervello, e i rarefatti Progetto di spazio di Claudio D’Angelo, “affioramenti visivi” in cui sono applicati con originalità e sagacia i princìpi gestaltici della continuità e del “destino comune”. La scelta delle tre opere di Mario Ballocco è esemplare proprio nell’esplorazione dell’“etimo” e delle ricadute percettive – per citare e parafrasare il titolo di una tela del 1975 – della linea retta e della curva, sia in relazione al colore (come in Contrasti simultanei del 1956), sia nell’essenzialità del bianco e nero, fino alla reductio ad unum dell’acrilico Effetto bidimensionale del cerchio, che torna simbolicamente all’aneddoto che Vasari narrò a proposito di Giotto giovinetto, ovvero alla purezza “magica” e misteriosa di una semplice circonferenza. Franco Grignani, tanto nella Vibrazione induttiva del 1965, quanto nell’Interlinea 18A del 1963, fa interagire e alternare la retta e la curva, producendo variazioni virtuosistiche che solleticano le facoltà visive. Ennio L. Chiggio è forse il più optical degli artisti proposti in questa mostra: in Interferenza Lineare 8 del 1966 sovrappone una doppia lastra di plexiglass aerografato, che distorce la percezione e genera l’illusione del movimento; nel Dispositivo A+B del 1964 lavora invece su forme sequenziali e ripetitive, sviluppando la componente fenomenica dell’atto pittorico. Giovanni Pizzo e Lucia Di Luciano, con le loro opere, si dispongono tra il pian terreno e quello sottostante della galleria (al pari di Apollonio, Grignani e Chiggio): il primo con due Sign-Gestalt (del 1964 e del 1965) che alludono alla nozione di un “segno-forma”, articolato alternativamente secondo progressioni e strutturazioni ritmiche di moduli geometrici prodotti da linee, quadrati e rettangoli, che annullano ogni distinzione tra “figura” e “sfondo”, suscitando un’instabilità percettiva tra “positivo” e “negativo”; Lucia Di Luciano – reduce, come Marina Apollonio, dalla trionfale presenza nel Padiglione Centrale della Biennale di Venezia del 2022 – con due lavori distanti nel tempo, ossia Discontinuità ritmica in orizzontale e successione in verticale del 1965 e le già menzionate Verticalità dalla 2 alla 11 del 2003. Si passa dal rigore del severo bianco e nero all’esplorazione delle dinamiche cromatiche, ma ferma restando la maestria nel maneggiare le molteplici possibilità combinatorie della linea, protagonista assoluta della sua ricerca come di quelle degli altri artisti qui rappresentati.


 


Marina Apollonio, nata a Trieste nel 1940, è una delle figure più rappresentative del movimento ottico-cinetico internazionale. Figlia del grande studioso Umbro Apollonio e allieva di Giuseppe Santomaso all’Accademia di Belle Arti di Venezia, si dedica alla progettazione di industrial graphic design e a soluzioni di architettura per interni, e nel 1962 inizia la sua ricerca sulla percezione e la comunicazione visiva. Dopo un soggiorno a Parigi, nel 1964 rientra in Italia ed esegue i primi rilievi metallici a sequenze cromatiche alternate. Dal 1965 gravita attorno al Gruppo N di Padova e al Gruppo T di Milano, condividendone sia gli intenti delle ricerche, sia la scelta dei materiali. Dal 1975 realizza opere basate sul rapporto ortogonale di linee parallele colorate, verticali e orizzontali su fondo nero. Intensissima è la sua attività espositiva. Nel 2022 è presente con alcuni importanti lavori alla Biennale di Venezia nel Padiglione Centrale.


                                                                                                                                             (p. b.)


 


Mario Ballocco (Milano, 1913-2008) è stato un precursore in molti campi: pittore astrattista di grande coerenza, ha fornito un contributo fondamentale alle indagini sul colore e la percezione visiva. Dopo gli studi con Aldo Carpi all’Accademia di Brera, nel 1947 è in Argentina a contatto con Lucio Fontana. Fondatore nel 1950 a Milano del Gruppo Origine (cui aderiscono anche Alberto Burri, Giuseppe Capogrossi ed Ettore Colla), crea e dirige le riviste «AZ» (1949-1952) e «Colore. Estetica e Logica» (1957-1964). Nel 1952-1953 cura a Milano esposizioni di design e una mostra sulla storia della fotografia. Ballocco è l’inventore della “cromatologia”, metodo interdisciplinare per la soluzione di “problemi visivi di interesse collettivo”. Ballocco è presente due volte alla Biennale di Venezia con personali-omaggio (nel 1970 e nel 1986). Da ricordare, inoltre, la sua attività d’insegnamento, iniziata all’inizio degli anni Settanta all’Accademia di Belle Arti di Brera.


                                                                                                                                             (p. b.)


 


Ennio Ludovico Chiggio (Napoli, 1938 - Padova, 2020) frequenta con discontinuità l’Accademia e la Facoltà di Architettura a Venezia. Nel 1957 inizia a dipingere opere d’ispirazione informale. Nel 1958 entra in contatto con un gruppo di giovani artisti padovani, e nel 1960 risulta nella rosa dei cinque appartenenti al Gruppo N, con il quale partecipa alla mostra “Arte programmata”, presentata da Umberto Eco a Milano nel 1962. Si interessa alla poesia visiva e al concretismo fotografico. Nel 1963-1964 partecipa a “Nuove Tendenze 2” alla Fondazione Querini Stampalia. Nel 1964 presenta alla Biennale di Venezia l’elaborato elettronico Ambiente sonoro. Nel maggio del 1965 fonda con Teresa Rampazzi, Serenella Marega e Memo Alfonsi il Gruppo di Fonologia sperimentale NPS, per la produzione di oggetti sonori con musica elettronica. Si rivolge anche allo studio della cinesi corporea, alla progettazione di ambienti e al design. Tra gli anni Settanta e Ottanta realizza opere in cui si alternano geometricamente campi rossi e bianchi, per indurre lo sguardo dell’osservatore a meditare sull’instabilità visiva. Dal 1978 al 1989 insegna Progettazione ed estetica industriale all’Accademia di Belle Arti di Venezia.


                                                                                                                                             (p. b.)


 


Claudio D’Angelo (Tripoli, 1938 - Ascoli Piceno, 2011) nasce in Libia da genitori marchigiani. Nel 1942 la famiglia torna a vivere in Italia nel luogo d’origine. Da adolescente comincia a interessarsi alle arti visive e alla musica. Dopo un esordio pittorico informale e neodadaista, nella seconda metà degli anni Sessanta si muove sempre di più in direzione geometrico-progettuale, arrivando a sviluppare un proprio linguaggio aniconico. Al 1964 risalgono le prime indagini sull’esattezza dell’immagine e sulla cinematica delle configurazioni spaziali. Nel 1966 entra in contatto con la gallerista Fiamma Vigo, che da subito si interessa al suo lavoro, facendolo partecipare a rassegne nazionali e internazionali. Nel 1968 elabora organismi modulari usando “Forme toroidali”. Gli anni Settanta si aprono con una serie di opere che D’Angelo definisce “Ipotesi progettuale”. A seguire realizza il ciclo dei “Progetto di spazio” e dei “Progetti di genesi dinamica dello spazio”. Nel 1976 perviene a studi, denominati “Analysis situs”, intesi a strutturare valenze fotodinamiche mediante sequenze combinatorie di segni. Comincia a proporre anche installazioni-ambienti e performances. Negli anni Ottanta la sua ricerca assume il segno-archetipo come scandaglio di complesse stratificazioni dell’io latente; con il comparire del colore azzurro, oltre a materiali extrapittorici (stoffa, vetro, plexiglass, metallo), si determina una svolta che lo accompagna sino alla fine.


                                                                                                                                             (p. b.)


 


Lucia Di Luciano è nata a Siracusa nel 1933. Arrivata a Roma, frequenta l’Accademia di Belle Arti, dove incontra Giovanni Pizzo. I due si sposano nel 1959. Nel 1963, insieme con Francesco Guerrieri e Lia Drei, fondano il Gruppo 63, che, nell’àmbito delle ricerche cinetico-programmate, si dà un’impronta fortemente razionalistica. Questo sodalizio a quattro ha breve durata, a causa di divergenze programmatiche. Già nel 1964 Lucia Di Luciano e Giovanni Pizzo dànno vita all’Operativo R, coinvolgendo nella nuova compagine Carlo Carchietti, Franco Di Vito e Mario Rulli. I lavori prodotti in quel periodo prendono le mosse dall’analisi di processi visivi di matrice gestaltica. Nelle opere di Lucia Di Luciano si determina spesso un effetto di sovrapposizione di griglie in bianco e nero, che conferisce all’immagine un’evidente pluridimensionalità. Verrà poi il ritorno al colore, con la graduale introduzione dei toni primari. Non sarà un tradimento degli assunti originari, ma un approfondimento di un’indagine sulla percezione ottica, che Di Luciano porrà in pratica, per esempio, nella serie dei “Gradienti”, opere ricche di verve immaginativa unita al rigore scientifico. Nel 2022 espone alla Biennale di Venezia nel Padiglione Centrale.


                                                                                                                                             (p. b.)


 


Franco Grignani (Pieve Porto Morone, Pavia, 1908 - Milano, 1999) fin dalla prima giovinezza partecipa alle manifestazioni del Secondo Futurismo, con un’intensa attività espositiva. Lasciata la Facoltà di Matematica, nel 1929 si sposta a Torino per iscriversi ad Architettura e, al termine degli studi, si trasferisce a Milano impegnandosi nella progettazione di aree espositive e nel graphic design. Quanto alla ricerca artistica, dal 1935 abbandona ogni riferimento figurativo per dedicarsi, anche attraverso l’uso della macchina fotografica, alle sperimentazioni che essa gli consentiva: ciò lo porta ad avvicinarsi alle avanguardie astrattiste e costruttiviste. Richiamato alle armi allo scoppio della Seconda guerra mondiale, gli è affidato l’insegnamento in un corso di avvistamento aereo. Questa esperienza lo induce a interessarsi all’analisi della percezione ottica. Alla conclusione del conflitto riprende l’attività lavorativa nel graphic design, dedicando però sempre più tempo e attenzione all’arte. La sua pittura è d’ora in avanti una costante sperimentazione che va dalle matematiche spurie alle tecniche ottiche, senza però disgiungersi da una libertà costruttiva aperta a nuove intuizioni. L’incontro con il gallerista Lorenzelli gli darà la possibilità di mostrare l’esito di molte ricerche e di avviare una lunga collaborazione espositiva. Nel 1975 il Comune di Milano gli dedica un’antologica alla Rotonda della Besana. Nel 1980 comincia a insegnare alla NABA - Nuova Accademia di Belle Arti di Milano, che intitolerà un proprio dipartimento alla sua memoria.


                                                                                                                                             (p. b.)


 


Giovanni Pizzo (Veroli, Frosinone, 1934 – Roma, 2022), approdato nella capitale, si laurea in architettura nel 1955. Nel 1959 sposa Lucia Di Luciano. Nel 1963, con lei e con Francesco Guerrieri e Lia Drei, fonda il Gruppo 63, che si dà un’impostazione logico-matematica mirante alla definizione di moduli geometrici, per consentire all’arte di coniugarsi con il disegno industriale e l’architettura. Il sodalizio ha breve durata, e nel 1964 con Lucia Di Luciano crea l’Operativo R, coinvolgendo anche Carlo Carchietti, Franco Di Vito e Mario Rulli. I lavori prodotti in quel periodo vedono convivere la componente della ricerca scientifica con una tecnica virtuosistica. La lettura dei testi di Bertrand Russell sulla logica matematica e la volontà di conformarsi a rigorose regole geometriche determinano l’elaborazione di un “segno-immagine” dove il colore, in quanto fattore potenzialmente emotivo e soggettivo, è bandito. I supporti sono perlopiù masoniti o comunque tavole, le cui dimensioni si rifanno ai rapporti proporzionali della sezione aurea. Le sue composizioni presentano nel titolo il prefisso Sign-Gestalt: una sorta di elemento primario di un alfabeto fondamentale, articolato secondo progressioni e strutturazioni ritmiche di moduli geometrici. Il ritorno al colore si accompagnerà a un approfondimento dell’indagine sulla percezione ottica, in una fase cosiddetta “geometrico-razionale” durante la quale Pizzo scoprirà le possibilità dell’Atlante di Albert H. Munsell.


                                                                                                                                             (p. b.)


 


Luigi Veronesi (Milano, 1908-1998) si iscrive all’istituto tecnico, segue un corso per disegnatore tessile e studia pittura sotto la guida di Carmelo Violante. Si avvicina giovanissimo agli artisti che gravitano attorno alla Galleria Il Milione. Accostatosi all’astrattismo, nel 1934 aderisce al gruppo Abstraction-Création. Fondamentali, in questo periodo, sono i suoi incontri con Josef Albers, László Moholy-Nagy e Max Bill, che gli consentono di assimilare gli insegnamenti del Bauhaus e di conoscere la produzione di Malevič, El Lissitskij e Rodčenko. Nel frattempo lavora con la rivista «Campo Grafico». Negli anni Trenta e Quaranta matura un personale astrattismo geometrico-costruttivista, con un’apertura a differenti àmbiti espressivi: pittura, fotografia, incisione, cinema, scenografia. Nel 1947 entra nel gruppo fotografico La Bussola, firmandone il manifesto programmatico; del 1948 è invece l’adesione al M.A.C. (Movimento Arte Concreta). Negli anni Cinquanta e Sessanta Veronesi riceve i primi importanti riconoscimenti (premi, partecipazioni alle Biennali di Venezia e di San Paolo del Brasile, mostre personali in Italia e all’estero) e attraversa una parentesi di inquieta apertura ad alcune istanze dell’Informale, poi superata nel ritorno a un nitido geometrismo lirico-costruttivista. Comincia inoltre la sua attività didattica all’Accademia di Belle Arti di Brera (dove “erediterà” il corso di cromatologia introdotto da Mario Ballocco), e poi alla Nuova Accademia di Belle Arti di Milano. Negli anni Ottanta e Novanta al rinnovato interesse per la fotografia e il cinema si aggiungono operazioni ascrivibili al campo dell’arte applicata, con affreschi, progetti di piazze e interventi grafici in esterni.


                                                                                                                                             (p. b.)


 


“CURVA E RETTA. LA LINEA NELLE RICERCHE ASTRATTO-CINETICHE ITALIANE”


Milano, Galleria 10 A.M. ART (Corso San Gottardo, 5)


27 ottobre 2022 - 27 gennaio 2023


Inaugurazione: Giovedì 27 ottobre 2022, ore 17:00


 


Informazioni: tel. 02.92889164; info@10amart.it; www.10amart.it

10 A.M. ART
Curva e retta. La linea nelle ricerche astratto-cinetiche italiane