22/05/2025 - 04/07/2025

X Incantamento. Marina Apollonio, Lucia Di Luciano, Helga Philipp, Esther Stocker

La mostra mette in dialogo le opere di quattro artiste appartenenti a diverse generazioni il cui lavoro condivide quel vasto ambito investigativo sulle modalità operative dell’atto del vedere abitualmente chiamato arte programmata. Pur considerando le naturali differenze delle ricerche individuali delle artiste, la mostra pone l’accento su una loro comune caratteristica, che tiene insieme le ragioni oggettive, razionali e persino scientifiche del fare arte, con il credito lasciato all’opera di aprirsi all’osservatore (notato fin dal 1962 da Umberto Eco in Opera Aperta), per accogliere mobilità e trasformazione, integrazione e partecipazione, possibilità e variabilità. Si passa quindi senza soluzione di continuità dal vedere oggettivo a una forma di visione che nello spettatore sfiora la meraviglia e l’incantamento percettivo.


Il titolo, con la sua ironica ascendenza da uno di più noti sonetti di Dante, mette in evidenza tale felice ambivalenza dell’opera, tra il rigore della sua predeterminazione operativa (il X come evidenza progettuale e programmata) e il dischiudersi di una molteplice e difforme fenomenologia del divenire, dell’instabilità e della complessità, in cui l’occhio partecipe dell’osservatore si avventura e persino si incanta. In questo modo si scopre come il programma matematico e geometrico si apra alla vita e all’indeterminazione, come la griglia logico-operativa liberi il pubblico invece di costringerlo, insinui il dubbio su ciò che sta vedendo, spiazzi la funzionalità fisiologica dell’occhio per introdurre l’osservatore in un’inedita situazione visuale che sa farsi anche mentale, partecipativa e talvolta open end.


L’enunciato di Gottfried Wilhelm Leibniz secondo cui nel grande ordine vi debba essere anche un piccolo disordine si applica alla selezione delle opere in mostra, che abbraccia lavori storici a partire dagli anni Sessanta fino alle produzioni più recenti: la progressione delle Dinamiche Circolari fino alle Gradazioni di Marina Apollonio (Trieste, 1940), il tema della variazione ritmica che si libera nel colore con Lucia Di Luciano (Siracusa, 1933), il rigore cinetico che diviene campitura aperta e dialogante in Helga Philipp (Vienna 1939-2002) e infine la griglia decostruita degli spazi tensivi e liberi di Esther Stocker (Schlanders, 1974).


Nel caso di Marina Apollonio il cinetismo delle Dinamiche Circolari più che fornire un’informazione globale e standardizzata del fenomeno ottico, introduce nell’osservatore il dubbio che non sia il movimento ad essere problematico, bensì la presunta stabilità del sistema, che di fatto non esiste, a partire dalla staticità del quadro classico che queste opere problematizzano se non confutano del tutto. Nella progressione storica di queste opere si comprende infatti che non solo la regola ammette eccezioni, ma che quest’ultime possono diventare nuove regole, in un processo in divenire in cui il rigore applicatovi non ha nulla a che fare ed anzi esclude ogni rigidità, sia essa concettuale o formale. Vale del resto lo stesso nel caso dei numeri, per cui la norma non va considerata quella dei numeri razionali, ma degli irrazionali, così come le curve semplici e “lisce” non costituiscono la norma, mentre lo sono quelle via via sempre più irregolari, irriducibili a una curva semplice come una linea retta, come ha dimostrato il matematico Benoît B. Mandelbrot.


Il desiderio di un’arte depersonalizzata, che, pur in modo variabile, sta alla base dei linguaggi delle quattro artiste, mette quindi in evidenza l’ambiguità dell’apparenza, e la iscrive, attraverso il metodo del dubbio sul reale, in una visione complessiva della natura, non soltanto psicologico-gestaltica, bensì estesa alla scienza ed al mondo delle cose. La teoria e poi la sua ricaduta nell’opera svelano via via dei punti di conoscenza che sono felici, ma sempre temporanee, approssimazioni, sono virtuose eccezioni all’ordine che svelano quanto il caos sia indissolubile dal cosmo.


E’ la percezione dell’arte di un moto ondivago tra equilibrio e crisi, proprio come avviene nella teoria delle catastrofi del matematico René Thom elaborata tra gli anni Cinquanta e Sessanta, e che nell’opera di Marina Apollonio risuona sia nella dinamica tra compressione ed espansione cromatica delle Gradazioni e sia nello slittamento continuo tra concavo e convesso delle Dinamiche Circolari.


L’opera di Lucia Di Luciano è stata oggetto negli ultimi anni di un’intensa attività espositiva, che proseguirà dopo questa mostra con una personale presso Herald Street Gallery a Londra e poi nel 2026 da Gavin Brown a New York (partner di Barbara Gladstone). Nel suo lavoro una griglia bianca e nera si declina in una serie di molteplici variazioni che contraddistinguono le opere degli anni Sessanta, in cui il gioco dinamico, grafico e tonale non è mai soltanto grafico, ma introduce via via sempre nuove complessità, ritmi e modulazioni spaziali, anche in profondità. La griglia qui introduce una turbolenza tra la complessità geometrica ed una variazione modulare che talvolta sfiora l’illeggibilità, creando architetture bicromatiche i cui ritmi ricordano i coevi spartiti di musica sperimentale di Earle Brown e Morton Feldman, fino a quella elettronica di Michael Nyman o Cornelius Cardew.


Il quadro si apre così in veri e propri diagrammi di registrazione sonora, variazioni pulsanti che si affastellano e poi si distendono nuovamente, opere come campi di possibilità. Quando negli anni Settanta sopraggiunge il colore, le frequenze modulari si fanno ulteriormente dinamiche: alcune volte si infittiscono quasi fino al silenzio, in altri casi affermano il loro valore costruttivo in strutture virtualmente infinite in cui una forma cromatica pluridimensionale sembra talvolta far scivolare via e rendere più gassosa la ferma architettura compositiva del tutto. A ben vedere l’opera di Lucia Di Luciano non conosce soluzioni di continuità in una produzione artistica che anche nei lavori più recenti non fa che sviluppare naturalmente alcune caratteristiche da sempre presenti nella sua opera, seppur sotto altri codici linguistici. È così che ritmo, variazione, rigore e tensione si declinano, già dagli anni Novanta, in composizioni di forme lievi ed aeree, in movimenti che attraversano la tela come un soffio di vento, verso la luminosità poetica ed essenziale di forme libere che il colore e il segno fanno pulsare di vita e di emozione.


Helga Philipp mette a punto nella prima metà degli anni Sessanta una rigorosa ricerca Optical in bianco e nero che toglie anche ogni residuo di psicologismo legato al colore, per evidenziare invece un vincolo percettivo che lega lo spettatore all’opera decifrandone i passaggi continui tra primo e secondo piano, tra illusione spaziale e bidimensionalità, tra oggetti cinetici ed interferenze ottiche ottenute non solo con la pittura, ma anche con la sovrapposizione di griglie ottiche traforate che entrano in risonanza con lo sfondo. In alcune raffinatissime opere l’intrecciarsi dei piani ottici raggiunge il parossismo di un intreccio talmente fitto da rasentare la superficie monocroma, che infatti sarà in seguito una ben delineata direzione di ricerca del lavoro di Helga Philipp. Attraverso l’arco quarantennale della sua pratica artistica l’artista raggiunge una precisa dimensione poetica lavorando sulla logica del disegno e sulle trasformazioni che esso sa suggerire allo spettatore, sfidando l’illusione della profondità attraverso lo schiacciamento dello spazio in una superficie pellicolare che si scopre in realtà pluridimensionale. Infatti l’intricata tessitura Optical degli anni Sessanta si apre successivamente in strutture che giocano con la diafana trasparenza dei plexiglas sovrapposti e con i riflessi dell’acciaio specchiante che fa da sfondo. Qui la superficie si anima anche di un dinamismo di forme circolari in cui le linee curve, le modulazioni organiche dei grigi, le ritmiche dialoganti di pieno e vuoto e l’arabesco di un’inedita linea sinuosa composta da semicerchi, creano una spettacolare animazione dell’opera. Questa struttura visiva meditata quanto poetica raggiunge effetti di spazialità aperta nelle opere degli anni Novanta, su cui fioriscono anche delicatissime grafie, scale tonali giocate sulla trasparenza, dialoghi tra forme aperte e chiuse e scambi percettivi tra pieno e vuoto.


Esther Stocker, l’artista più giovane tra quelle presenti in mostra, muove da quello stesso ambito visivo votato al rigore geometrico ed all’astrazione dell’accordo nero-bianco-grigio, ma lo declina in installazioni ambientali e dipinti in cui lo spazio si dilata e si contrae secondo un modello che non segue tanto la logica geometrica e costruttiva quanto la sorpresa percettiva, lo spiazzamento sensoriale e l’incanto dell’immaginazione. L’ordine qui è solo un lontano punto di partenza che gioca in relazione con l’instabilità della visione ed entra in risonanza con una suggerita instabilità dello spazio. In altre parole la potente dinamica emotiva messa in scena da questi ambienti tridimensionali, che “funzionano” anche nell’assoluta bidimensionalità del quadro, sa mettere insieme caos e cosmo, disordine ed ordine, così come la scienza e la filosofia (basti qui ricordare l’idea di “caosmosi” delineata da Felix Guattari) hanno estesamente investigato. Così il tuffo caotico nello spazio di Esther Stocker, la perdita momentanea di punti fermi e la scoperta di nuove configurazioni spaziali e temporali segnano un’inedita osmosi tra gesto di abolizione (i nessi spaziali che saltano) e complessità ritrovata (la magia caotica della sfida alle norme della rappresentazione).


Un disordine “patemico” così composto sfiora chi vive lo spazio di Esther Stocker: la sensazione di referenti logici lontani e metabolizzati, la ridefinizione dello spazio e dei modi della sua rappresentazione secondo nuovi parametri ed infine una vocazione sistemica dell’arte imprescindibile dalle emozioni provocate allo spettatore, dal suo incantamento.


 


"X Incantamento. Marina Apollonio, Lucia Di Luciano, Helga Philipp, Esther Stocker"


Milano, galleria 10 A.M. ART (Corso San Gottardo, 5)


22 maggio - 4 luglio 2025


Inaugurazione: Giovedì 22 maggio 2025, ore 17.00


 


Informazioni:


tel. 02.92889164; info@10amart.it; www.10amart.it

10 A.M. ART
X Incantamento. Marina Apollonio, Lucia Di Luciano, Helga Philipp, Esther Stocker