23/01/2021 - 12/03/2021
venti giorni
“C’è una certa monotona uniformità nei destini degli uomini. Le nostre esistenze si svolgono secondo leggi antiche ed immutabili, secondo una loro cadenza uniforme e antica”. Così scriveva nel 1944 Natalia Ginzburg, poco dopo il suo esilio in Abruzzo. Mi è capitato più volte, nel corso dell’ultimo anno, di pensare a questo racconto. In quelle poche pagine viene descritto uno stato d’animo che in qualche modo ha caratterizzato buona parte dei mesi di pandemia trascorsi in lockdown. Un tempo sospeso tra l’ansia del dopo e il ricordo di un passato recente che sembra essersi sgretolato all’improvviso. Un tempo dove la quotidianità sembra essersi dilatata a tal punto da aver assunto una dimensione nuova. Le giornate, più lente, sono scandite da azioni che assumono una valenza quasi rituale, un esercizio da ripetere di giorno in giorno. E’ nell’idea e nel bisogno di questo esercizio quotidiano che nasce la nuova serie di venti gouache che Alessandro Teoldi ha dipinto a New York nel marzo del 2020.
La realizzazione di questi lavori è profondamente legata al periodo di reclusione che ha in qualche modo modificato, dalla primavera scorsa, la nostra percezione del tempo, amplificando i ricordi ed esasperando la sensazione di solitudine. Se da un lato le immagini di spazi infiniti (un cielo notturno, un’isola che scompare all’orizzonte, il mare) sembrano alludere alla quiete catastrofica dell’isolamento, dall’altro ci sono i piccoli gesti e l’abbandono di un’umanità assorta e senza tempo, colta come di nascosto, nella solitudine che caratterizza l’attesa. Il racconto di Alessandro si compone di immagini prese da un archivio personale, foto conservate nella memoria di un telefono, in cui quello che conta non è tanto l’elemento narrativo, quanto la ricostruzione di un ricordo, che, nella nostra epoca di pixel, assume per l’artista un valore esemplare. Percepiamo così una realtà immaginata in risposta alla velocità e alla concretezza del quotidiano, che si dissolvono temporaneamente per lasciare spazio all’oscillazione tra quei diversi stati emotivi – immobilità, isolamento ed evasione – che, per ritornare alla Ginzburg, si configura come una “vicenda di speranze e di nostalgie”.
Micola Bramabilla