10/01/2025 - 01/03/2025
AC Venezia | J. Klauke, M. Bubacco - Through liquid Mirrors
Galleria Alessandro Casciaro presenta Through liquid Mirrors, seconda mostra collettiva all’interno dello spazio veneziano, situato in Fondamenta San Giacomo 199. La mostra raccoglie opere di Michele Bubacco (Venezia, 1983), Jürgen Klauke (Kliding, 1943), Cristian Chironi, Cristiano Tassinari ed Erin O'Keefe.
Through liquid Mirrors è sia un’allusione alla superficie scintillante e mutevole della laguna veneziana sia una metafora dell’evocativo gioco di percezione e interpretazione all’interno delle opere degli artisti. Come la fluidità dell’acqua, che resiste al contenimento e cambia costantemente forma, le pratiche di questi artisti sfuggono a una categorizzazione definitiva, ciascuna esplorando un linguaggio visivo unico che riflette e rifrange il mondo in modi sfaccettati.
Cristian Chironi (Italia, 1974) ha sempre posto la pratica performativa al centro della sua ricerca, sviluppando una serie di progetti in corso in cui l’artista vive in edifici progettati da Le Corbusier in tutto il mondo. Queste “azioni” sono completate dalla produzione di collage e sculture in cui il gesto rimane fondamentale. Le pagine dei cataloghi di Le Corbusier vengono ripiegate e poi esposte all’interno di scatole di plexiglass realizzate esclusivamente utilizzando la tavolozza di colori applicata dall’architetto nei suoi progetti. Nuove architetture e nuovi punti di vista vengono creati con un semplice gesto, ripercorrendo il minimalismo nel suo nucleo.
I dipinti e le installazioni di Cristiano Tassinari (Italia, 1980) a prima vista possono apparire solari e allegri, ma affrontano allo stesso tempo temi politici e autobiografici cruciali. Le sue opere mettono in luce come rappresentazioni e simboli possano erodere il piacere immediato che si prova quando si guarda per la prima volta l’immagine, mostrare la documentazione della sua autogenerazione, portare all’attenzione semplici beni di uso quotidiano, come piccole sculture di uccelli collezionate da sua madre. La commistione di arte e sociologia costituisce uno dei caratteri del suo fare arte. (Apparentemente) percorsi diversi conducono allo stesso fine: l’intenzione di trasferire emozioni private in uno spazio pubblico, di diffondere la consapevolezza del valore universale di certi argomenti, come la morte o la fragilità umana.
Erin O’Keefe (USA, 1962) è una fotografa e un architetto e il suo lavoro è informato da entrambe queste discipline. Il background dell’artista in architettura è il fondamento della sua pratica artistica, fornendo la sua prima esposizione prolungata ai problemi e alle domande con cui si confronta nelle sue fotografie. Le domande che pone attraverso il suo lavoro riguardano la natura della percezione spaziale e gli strumenti che utilizza sono radicati nel linguaggio astratto e formale della creazione che ha sviluppato come architetto. Come fotografa, Erin O’Keefe è interessata allo strato di distorsione e incomprensione introdotto dalla macchina fotografica mentre traduce la forma e lo spazio tridimensionali in un’immagine bidimensionale. Questo inevitabile disallineamento è il punto centrale del suo lavoro.
Dagli anni ‘70, Jürgen Klauke (Germania, 1943) si è concentrato sul corpo umano e sulla sua identità di genere in fotografie, opere video e performance. L’artista mette radicalmente in discussione i ruoli di genere convenzionali e analizza le loro convenzioni e costruzioni sociali. In ambientazioni messe in scena decostruisce le attuali tipologie sessuali e i loro effetti sull’identità e sul soggetto. Nei disegni su carta in mostra, linee semplici formano figure nude i cui organi sessuali e parti del corpo si frammentano in forme organiche astratte. Le suggestive opere su carta di Klauke presentano il corpo umano come un oggetto trasformato. Scene complesse sembrano essere cariche di erotismo senza che gli atti sessuali siano visibili. Invece, mostrano metamorfosi del sessuale.
“Metabolismo pittorico” è l’eccentrica invenzione lessicale con cui Michele Bubacco (Italia, 1983) definisce il suo metodo artistico concettuale, eccessivo e radicale. Il pittore veneziano vede il significato metaforico di questa analogia tra la pittura e i processi umani di assunzione e digestione del cibo nel fatto che anche la pittura percepisce tutto ciò che incontra come qualcosa di utilizzabile, e che ha bisogno di un continuo apporto di impressioni visive per mantenersi e svilupparsi. Il pittore espelle continuamente i prodotti della sua fantasia visiva inconscia, così come le sue ideazioni traumatico-pulsionali. Tutto ciò, tuttavia, si esprime nella forma di un continuo divenire, così che il pensiero che l’artista può aver già concretizzato all’inizio del suo lavoro creativo, si trasforma a volte attraverso il confronto spontaneo con immaginazioni ossessive e con le autorealizzazioni formali del processo pittorico, e alla fine qualcosa di inaspettato appare dove originariamente si cercava qualcos’altro.
Mentre le pratiche degli artisti divergono, le opere evocano collettivamente un senso di prospettive mutevoli e una natura sfuggente del significato. Insieme, formano una costellazione di visioni che, come i riflessi sulle acque veneziane, sono in continuo flusso: effimere, ambigue e infinitamente avvincenti.
Insieme, gli artisti creano un dialogo dinamico all’interno della galleria, rimodellando la nostra comprensione degli spazi in cui viviamo, sia fisici che immaginari. La mostra diventa essa stessa uno specchio liquido, riflettendo e rifrangendo le visioni uniche degli artisti nel contesto di Venezia.