27/11/2021 - 15/01/2022
Mirko Baricchi | Oltre
Mirko Baricchi
“Oltre”, il titolo scelto per la nuova personale di Mirko Baricchi è un titolo ricco di implicazioni. Suggerisce un passaggio, un avanzamento: giocando con il titolo della mostra precedente, “Selva” (2018), si può immaginare che Baricchi abbia messo la testa fuori dal bosco, suo contesto osmotico, quasi una tana, finendo con l’imbattersi con chiarori che hanno abbagliato il suo sguardo. La conseguenza, ben visibile ai nostri occhi, è una dilatazione della palette di colori con intrusioni sorprendenti, come quella dei rosa. Assistiamo inoltre ad una sorta di allagamento di luce che conquista larghe aree della tela.
“Oltre” però è un titolo che racconta anche di una costante della pittura di Baricchi. Nello specifico racconta la sua determinazione ad assestarsi sull’unidimensionalità della superficie della tela, in quanto la superficie ha un’energia assorbente e ingloba, anzi abbraccia, anche il suo “oltre”. La superficie è come un tessuto che nelle sue trame trattiene un tutto.
La serie di opere recenti che potremmo ribattezzare “a cielo aperto” suggeriscono anche un’altra ipotesi di lettura della pittura di Baricchi. In queste tele si coglie un movimento ascensionale, che dalle zolle di colore giustapposte alla base spinge in direzione di aree cromaticamente più luminose e rarefatte. Tra le due zone della tela avvengono poi scambi di riflessi cromatici che danno un’unità molto lirica alla composizione. La pittura di Baricchi propone questa continua ambiguità tra verticale e orizzontale, e non solo in queste tele recenti. Ci possiamo infatti chiedere: con i lavori del ciclo “Selva” siamo di fronte ad una ricreazione sulla tela della superficie del bosco come si trattasse di un frottage a mano libera, oppure Baricchi sta lavorando in sezione e quella che vediamo è in realtà una stratigrafia, un lavoro di natura geologica? Baricchi è più dalla parte della pittura distesa di Monet o di quella tettonica di Cézanne? I suoi sono muschi, foglie secche, superfici di terra umida, o invece sono falde, faglie sovrascorrimenti della crosta terrestre?
Baricchi lascia che questi slittamenti avvengano sempre nei suoi quadri. Sono slittamenti conseguenti ad una condizione di partenza precisa: la sua pittura non contempla che il paesaggio, di cui si nutre in modo esclusivo, sia un’entità da rappresentare. Il paesaggio è dunque qualcosa che deve accadere sulla tela, qualcosa di consustanziale alla pittura stessa: in questo approccio si avverte il segno della grande lezione di Courbet, che si innesta sulla persistenza innamorata di un imprinting veneto. Per far sì che la pittura si attui Baricchi deve sottoporsi necessariamente ad una sorta di ascesi esecutiva. Non a caso lui parla di “un’ossessione per una modalità oggettiva”. Per questo in tanti casi vediamo la sua pittura agire per sottrazione; viene graffiata, o si smaterializza in conglomerati liquidi. Per questo Baricchi stringe sempre lo spazio in close up che escludono punti di fuga, obbligandosi asceticamente ad una concentrazione tenace su singoli lembi di terra (o anche di aria): il paesaggio per lui non è una veduta, è la materia visiva che si palesa davanti ai suoi occhi ogni mattina quando alza la saracinesca del suo studio. È a quel punto che si attiva l’alchimia: la tela funziona da incubatore e sulla sua superficie ogni volta attecchisce nuovo paesaggio.
Giuseppe Frangi