21/01/2023 - 08/04/2023
Anne e Patrick Poirier | Apoptosi con un testo critico di Leonardo Regano
"Mio caro Marco, Sono andato stamattina dal mio medico, Ermogene, recentemente rientrato in Villa da un lungo viaggio in Asia. [...] È difficile rimanere imperatore in presenza di un medico; difficile anche conservare la propria essenza umana; l'occhio del medico non vede in me che un aggregato di umori, povero amalgama di linfa e di sangue."
Affaticato e malato, Adriano scrive all’amico Marco Aurelio raccontandogli delle consuete visite mediche che, inesorabili, accertavano la caducità ormai imminente del suo corpo. L’occhio del medico è colto dall’imperatore nello scrutare il suo fisico sofferente con un’innaturale e fredda perizia, noncurante del rispetto e della devozione dovuti al suo ruolo. Ermogene incarna l’archetipo dell’approccio scientifico, di un’analisi imparziale non corruttibile della realtà oggettiva. Adriano, di contro, è ritratto non come il valoroso guerriero – che potremmo immaginare – bensì nella sua fragilità di uomo solo, nella consapevolezza e accettazione della propria mortalità. Marguerite Yourcenar utilizza la letteratura e il mito classico per aprire spiragli di riflessione in un sapere condiviso che intreccia storia, filosofia, archeologia e psicologia. Il tema della rovina e della decadenza – sia essa fisica, sociale o storica – è per lei un topos ricorrente. "Tutto scorre. L'anima che assiste, immobile, al passare delle gioie, delle tristezze e delle morti, di cui è fatta la vita, ha ricevuto "la grande lezione delle cose che passano", per usare le sue stesse parole. La scrittrice franco-statunitense ha poco più di vent’anni quando visita per la prima volta Villa Adriana, a Tivoli, fonte di ispirazione per il suo capolavoro, Memorie di Adriano, citato in apertura di questo testo. Anche Anne e Patrick Poirier arrivano a Roma per la prima volta nel pieno dei loro vent’anni, nel 1967, e vincitori del Gran Prix de Rome vi soggiornano fino al 1971, in residenza a Villa Medici. È qui che la loro ricerca artistica si fa matura e prende corpo il loro alter ego, la figura immaginaria di un architetto-archeologo indagatore instancabile delle tracce del nostro passato. E per loro, come per Yourcenar, la visione di Villa Adriana è una rivelazione, una scoperta simile a “una tenda tirata sul mondo”, così come lo sono state Ostia Antica e la Domus Aurea neroniana, luoghi in grado di scatenare in loro un interesse totalizzante e sempre crescente per il passato e la storia. Scrive Anne nel 1971: "Mi ricordo di quella frase di Marguerite Yourcenar in Memorie di Adriano: "Ogni edificio era la pianta di un sogno". Noi costruiamo tutti i giorni, sempre, il sogno [...]". Il concetto di apoptosi, che il duo francese ha scelto come fil rouge tra le opere di questo nuovo progetto presentato allo Studio G7 – il nono dall’inizio della loro collaborazione – fa riferimento a un processo biologico con cui un organismo vivente si rigenera attraverso la morte programmata di alcune delle sue cellule. Non c’è nulla di brutale in questa morte, né di doloroso o di nostalgico, essa si lega infatti a quel delicato equilibrio umorale e biologico su cui si fonda la vita. Apoptosi è un progetto che parla di rigenerazione, di definizione di un nuovo inizio nel solco dell’equilibrio energetico, tra yin e yang. I coniugi Poirier rivestono i panni di un perfetto Ermogene, indagatori impassibili oggettivi di quanto accade attorno. Come scienziati, studiano il mondo interrogandosi sulle sue leggi e sulle sue regole. Pur sollevando nelle loro azioni riflessioni sociali, etiche e politiche, il loro punto di vista rimane imparziale lasciando ogni giudizio all’interpretazione di chi osserva i risultati della ricerca. La loro indagine si spinge verso l’origine di ogni sapere, verso il motore primo di ogni azione: l’anima o psyché che muove ogni azione umana. La forma-cervello che torna costante come simbolo della loro produzione – riprodotta in sculture, disegni, pitture, installazioni – incarna l’espressione fisica di questo elemento che congiunge l’uomo al divino. Il riferimento all’anatomia craniocerebrale lo troviamo per assonanza formale anche nei due emicicli della pagina fogliare di loto che si staglia sul fondo scuro in Angkor (2009). In accordo con il pensiero platonico, dalla memoria scaturisce la conoscenza: l’anima apprende la verità prima ancora di incarnarsi nella sua materia fisica. Ed è questa riflessione che sembra porre il ruolo del ricordo centrale nella poetica dei Poirier. Il ricordo personale – il viaggio in Cambogia subito dopo il primo soggiorno romano – si connette alla storia collettiva – la tragicità della guerra che incombeva sul Paese, che rendeva concreta quella fragilità che caratterizza la specie umana – nelle parole di Patrick: "camminavo nel caldo...in questa natura che presto sarebbe stata teatro di battaglie assurde [...] Gli uomini vendono e aggrediscono; le liane, le enormi radici non sono più il pericolo: per affermarsi gli uomini distruggono".
Il ricordo attraverso l’elaborazione del cervello si trasforma in sogno: "ogni edificio era la pianta di un sogno", ricorda Anne. E tutti gli edifici insieme si connettono tra loro in un tessuto urbano unico, dando origine a un’intera città intitolata a Mnemosine. Avviato agli inizi degli anni Novanta, Mnemosyne è una città-ideale dedicata alla dea della memoria e madre delle Muse. Essa fa parte di un ciclo di città immaginarie fondate dai Poirier; come le precedenti, anch’essa si contraddistingue per la forma ellittica – riferimento al cervello – del suo tessuto urbano e per avere il proprio fulcro nella Biblioteca, luogo in cui memoria e saperi – tutti senza distinzione alcuna – per tradizione sono conservati. Se Mnemosyne (1990-2022) è una città nuova che risplende pur senza tracce di vita umana, Sogno (2017) mostra solo un frammento di tessuto urbano, rovina gloriosa di un passato che fu. La rovina archeologica, isolata dal suo contesto, si mostra simile a un’apparizione che assume un significato ambivalente, intrisa di un sentire nostalgico per un passato che è trascorso e che si fa oggi monito della fragilità umana e di un futuro incerto di crisi; e dall’altro, essa è letta nella sua persistenza oltre lo scorrere del tempo e l’incuria, quale elemento architettonico resiliente. In un’opera come Cosmos (2017) si continua a leggere quel passaggio spazio-temporale che dal futuro distopico di Mnemosyne ci porta al passato eroico di Sogno: in Cosmos si torna allo stadio mitico delle origini del tempo e dello spazio. L’universo intero è ritratto nella sua perfezione sferoidale, chiuso e ricurvo nella sua forma sferica. Le immagini stereoscopiche che compongono Gradiva (2000) rimandano al tempo archeologico cui si sovrappone quello della psiche: la citazione dell’omonima novella di Wilhelm Jensen si connette alle teorie di Sigmund Freud, e al suo continuo ritrovare analogie tra i metodi di indagine delle due discipline. Infine, il grande Journal d’Ulysse (2021), diario spaginato e installato a parete, ci riporta alla dimensione della traccia del ricordo personale. L’artista, novello Ulisse è ritratto nel tempo del suo continuo vagabondare, un viaggio che incrocia un’esigenza esistenziale. "La vita non è che un vagabondare alla ricerca di sogni" – scrive Anne. "Non si torna mai a Itaca, mio caro Ulisse, né a Citera, né a nessuna delle isole benedette da cui gli dèi crudeli ci hanno esiliato".
Leonardo Regano