13/01/2024 - 31/03/2024

Daniela Comani | Supporto memoria / Memory Device

L’allestimento ideato da Daniela Comani per Supporto memoria / Memory Device presenta tre


opere inedite provenienti da altrettanti periodi della sua carriera: Supporto memoria / Memory


Device (2023), East Berlin 1990-2020, Senza titolo (messa in scena di se stessi) (1992). Immagini


statiche e in movimento che evidenziano, prima di tutto, una riflessione sul rapporto tra l’individuo e


il tempo, tema ormai essenziale nella ricerca dell’artista. Un tempo esplorato, misurato con il


proprio corpo, dichiarato con apparecchi, atmosfere e oggetti. Una dimensione rispettata e, allo


stesso modo, affrontata in maniera diretta, dove la logica è messa in dubbio nonostante


l’abbondanza di informazioni offerte da Comani.


In Supporto memoria / Memory Device (2023), serie che dà anche il titolo alla mostra, Comani


organizza una sorta di archivio composto da 44 still-life di altrettanti apparecchi e dispositivi


tecnologici utilizzati nel corso degli anni dall’artista stessa. Macchine fotografiche, registratori,


telefoni cellulari, pellicole, nastri audio, floppy disk, CD, memory e sim card compongono un


campionario visivo della storia dei media. A livello estetico, questi apparecchi e dispositivi


immortalati su fondi neutri mostrano delle risonanze con lavori di artisti concettuali come Christopher


Williams (1956) e Steven Pippin (1960). Comani, tuttavia, non critica la fotografia come sistema


visivo o processo meccanico della società capitalista, ma crea delle immagini oggettive e


nostalgiche per dichiarare l’impossibilità di un’archeologia tecnologica, e per raccontare un aspetto


personale del proprio vissuto.


Dal punto di vista del metodo, infatti, gli oggetti sono fotografati in maniera sintetica e organizzati


in una griglia, mostrando così le informazioni relative ai modelli e alla loro struttura, agli anni di


produzione e ai dettagli tecnici. Da tale catalogazione emergono le coordinate della costruzione del


personale archivio di Comani, e dunque della sua personale memoria e identità. E ci interroga e


lascia immaginare che cosa l’artista abbia visto, deciso di registrare o creare con essi e – forse –


che cosa avremmo (o abbiamo) fatto noi con gli stessi dispositivi qualora ne avessimo posseduto


qualcuno. Mostrando i soggetti come icone, da una parte Comani realizza un autoritratto del suo


rapporto con la storia, ricollegandosi alle riflessioni di Walter Benjamin sulla capacità degli


apparecchi di registrare ciò che sfugge inconsciamente all’occhio. Dall’altra, invece, interroga le


potenzialità di organizzazione dell’archivio nella contemporaneità – secondo tema importante


affrontato con la mostra – dando forma a un tempo ricodificato secondo i propri interessi, gusti e


valori. Le aggiunte qui hanno la stessa rilevanza delle assenze, e sono incluse in uno schema di


raccolta, custodia e interpretazione del passato che non ricompongono una misura compiuta, bensì


aprono all’opportunità dell’interrogazione continua, alla nuova narrazione della storia e del nostro


rapporto con essa, a una possibile riorganizzazione delle modalità di immaginazione del futuro.


Come nella gran parte dei lavori realizzati negli ultimi trent’anni, anche in questo caso Comani


mostra interesse per le “tecnologie del tempo” indicate dal curatore Dieter Roelstraete e, ancora


meglio, per quella archeologia dei media raccontata dal teorico Jussi Parikka , attitudine


riscontrabile anche in East Berlin 1990-2020, un’opera video split-screen che trasmette in sincrono il


percorso dello stesso spazio urbano della capitale tedesca a trent’anni di distanza una dall’altra.


Entrambe sono realizzate dall’interno dell’abitacolo di un’automobile, modalità che richiama un


grande classico dell’arte fotografica concettuale come Every Building on the Sunset Strip (1966)


dell’americano Ed Ruscha. La prima veduta è realizzata dall’artista il giorno del suo compleanno


attraverso una videocamera VHS, così come la seconda che, tuttavia, è fatta con la camera di un


iPhone. Ancora una volta, l’idea di esperienza personale supporta una riflessione sulla progressione


del tempo e della società, nonché dell’evoluzione della tecnologia. In questo affiancamento


comparativo, infatti, non è possibile riscontrare solamente una sorta di grammatica della sembianza


e del contrasto legata al soggetto e alla tecnica, ma anche notare le azioni che l’artista ha compiuto


con il suo corpo, determinando delle variazioni significative nel filmato. Le immagini sono prima di


tutto il luogo del disvelamento e dell’esplorazione che compiamo nel mondo, del nostro far luce sul


vuoto indistinto, organizzarlo e dare risposte – seppur parziali – alla conoscenza di ciò che ci


circonda.


La ripresa del 1990 rappresenta una delle prime esplorazioni personali del settore sovietico dopo la


caduta del Muro di Berlino, attraversamento che comprende i distretti orientali di Mitte e Prenzlauer


Berg. I movimenti di camera sono incessanti, lo zoom si concentra più volte su dettagli, le


architetture sono spesso indicate. In questo senso, Comani lascia trasparire la necessità e


l’emozione della scoperta di quella che era stata considerata fino a pochi mesi prima la vetrina del


mondo socialista in Europa. Dalla ripresa del 2020, invece, non solo la grana della ripresa è


differente per ovvie ragioni, ma emergono le trasformazioni urbane, così come la stratificazione


culturale, sociale ed economica relativa all’influenza dell’industria dell’intrattenimento e del


capitalismo. In questa, inoltre, l’ambiente circostante viene filmato a mano ma con maggior stabilità,


lasciando emergere degli oggetti riflessi sui vetri: quaderni con appunti che dichiarano il legame di


Comani con il testo e la scrittura, ed esaltano il tema del doppio. Un meta-territorio nel quale si


inscena l’incontro e lo scambio tra realtà individuale e finzione sociale.


Il tema del doppio – così come quello del tempo – emergono anche nel lavoro fotografico mai


esposto in precedenza Senza titolo (messa in scena di se stessi), realizzato durante gli anni trascorsi


all’Università delle Arti di Berlino. L’immagine è scattata con uno degli apparecchi immortalati in


Supporto memoria / Memory Device, e in questa l’artista si autoritrae davanti ad un suo lavoro


dell’epoca, che includeva una riproduzione fotografica di un dettaglio del modello del grande


edificio a cupola ideato da Adolf Hitler e dal suo architetto Albert Speer, "Große Halle/


Volkshalle" (“Grande sala del Popolo”) per il progetto "Welthauptstadt Germania”, ovvero la


Capitale universale del Terzo Reich. Con la tecnica della doppia esposizione, Comani inscena una


situazione paradossale che crea un corto circuito nella funzione esperienziale del documento


fotografico e – allo stesso tempo – rimanda tanto al nostro rapporto con la memoria storica quanto


alla tematica identitaria, argomenti che permeeranno la sua ricerca negli anni a venire, come è


possibile notare in opere come Sono stata io. Diario 1900-1999.


A causa di grandi traumi collettivi, la società contemporanea appare incapace di pensare e


immaginare il futuro. Così come diversi artisti al giorno d’oggi, Comani recupera oggetti dal


passato riattivandone la storia e la funzione per delineare una sorta di proprio autoritratto, che è


anche specchio nascosto dei nostri tempi.


Giangavino Pazzola

Galleria Studio G7