26/11/2021 - 19/01/2022
Franco Guerzoni e Lorenzo Modica | Nascosto in bella vista | Hidden in plain sight con un testo di Davide Ferri
Nascosto in bella vista è un’ipotesi di dialogo tra due artisti - Franco Guerzoni (Modena, 1948), che ha stabilito con G7, a partire dal 1973, un lungo rapporto, e Lorenzo Modica (Roma, 1988), alla prima mostra in galleria - e si svolge attorno ad alcuni punti di contatto fra le loro poetiche: una comune sensibilità per l’immagine, per un’immagine che entra nelle pieghe materiali dell’opera emergendo solo per frammenti e piccoli indizi; un’immagine che non si dispiega mai pienamente ma manifesta il suo potenziale solo dopo un lungo lavoro di preparazione e costruzione dei supporti, della vita materiale dei dipinti.
Modica, ad esempio, utilizza spesso stoffe e tessuti, i cui pattern invitano l’artista a depositarvi liberamente macchie e campiture, ma anche ritagli e frammenti di immagini stampate o fotografiche, fino a definire una specie di paesaggio astratto nel quale collocare segni e tratti che, sincopati e intermittenti, appaiono come ipotesi di figure e cose riconducibili al reale.
Guerzoni, invece, opera attraverso un lungo lavoro di stratificazione che dona all’opera un forte spessore materiale, all’interno della quale, idealmente, le immagini finiscono per nascondersi o rivelarsi come ritrovamenti per via di un lavoro di scavo (nel supporto) operato dall’artista a posteriori, un processo di sottrazione e nuove aggiunte di colore e materia.
Entrambi gli artisti inoltre ampliano i confini della loro processualità pittorica inglobando tecniche e materiali eterogenei e combinandoli insieme: nel caso di Modica il collage e la carta, spesso trattata a monotipo a realizzare immagini che si moltiplicano richiamandosi e rilanciandosi reciprocamente; nel caso di Guerzoni lo strappo d’affresco, ma anche il gesso, il vetro, il frammento fotografico e la carta che si accartoccia, si comprime o si apre a rivelare nuove immagini.
La mostra non si pone limiti cronologici: all’interno di Nascosto in bella vista sono esposti alcuni lavori di Guerzoni della serie Spie, realizzati nei primi anni Ottanta, che appartengono cioè a quel periodo in cui l’artista esce dalla ricerca attorno alla fotografia sviluppata negli anni Settanta e fa il suo ingresso nella pittura. Sono lavori di passaggio dunque, in cui Guerzoni precisa la sua riflessione sul supporto materiale, sullo sfondo materico come paesaggio della figura: l’immagine, in questi lavori, coincide con piccoli volti o frammenti (in forma di ritagli fotografici e disegni) nascosti e custoditi nella materialità dell’opera. Di Guerzoni, inoltre, saranno presenti lavori della produzione recente, opere in bilico tra pittura e scultura.
Di Modica, invece, verrà presentato un dipinto del 2021 (La chacha), in cui l’intervento dell’artista nasce dal supporto (tessuto/tovaglia), include il collage e approda a segni che sembrano ipotesi di figure fragili e momentanee. Accanto a questo lavoro, la mostra include una installazione di lavori su carta e disegni, pensata dall’artista appositamente per lo spazio di G7, disposti a parete in forma libera e parzialmente visibili: un dialogo e un processo di azione e reazione tra carte realizzate in tempi diversi in forma di collage, dipinti, o semplici appunti visivi o scarabocchi, di cui viene attutita o enfatizzata la presenza anche attraverso i movimenti dello spettatore attorno al lavoro.
La mostra si inserisce all’interno di un progetto di riflessione tra artisti di generazioni diverse inaugurato dalla galleria nel 2019 con la bipersonale di Jacopo Mazzonelli e Giulio Paolini.
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Lo ripeto spesso quando parlo di lui: ho conosciuto Franco Guerzoni alcuni anni fa, quando stava lavorando (e io con lui) ad una mostra in Triennale, a Milano, sugli anni della sua collaborazione con Luigi Ghirri. Da allora continuo a pensare a quel periodo, collocabile nella prima metà degli anni Settanta, come a un laboratorio di idee e riflessioni, costruitosi nell’intimità di un rapporto di amicizia, un archivio ancora vivo di possibilità e irrisolti a cui Franco non smette di guardare soprattutto da qualche tempo a questa parte. In quel periodo Guerzoni lavorava attorno alle fotografie, che quasi sempre erano proprio di Ghirri, foto scattate a case abbandonate, rovine, muri, interni con finestre aperte sulla campagna, impalcature, casotti per attrezzi, durante i loro “viaggi randagi” nella campagna tra Modena e Mantova.
Lavorare attorno alla fotografia significava per Guerzoni sviluppare una ricerca all’interno dell’immagine, cioè a partire dalla fotografia, per creare i presupposti per una sua espansione materiale, con oggetti e interventi che si depositano sulla fotografia e che di questa sono come prelievi ed emanazioni, o correlativi oggettivi, come li chiama Franco. Oppure, al contrario, per creare attorno a quell’immagine un paesaggio di pura materialità, uno sfondo/cornice spesso e materico nel quale collocare la fotografia per rilanciarne l’esistenza materiale.
Detto tra parentesi: anche Lorenzo Modica, le cui opere vengono presentate per la prima volta da G7 a stabilire un dialogo con quelle di Guerzoni, lavora talvolta utilizzando fotografie, facendole precipitare nei dipinti in forma di fotocopie e ritagli, solo dopo che attorno a loro è andata articolandosi una partitura di macchie, pennellate e campiture che sembra costituire un paesaggio per quelle immagini frammentarie. Sarebbe stato semplice, dunque, fissare il baricentro del loro dialogo attorno a un particolare uso della fotografia nella poetica di entrambi gli artisti, ma questo avrebbe significato mostrare una parte del lavoro di Guerzoni degli anni Settanta, quello di serie come Archeologie, Dentro l’immagine, Affreschi, già molto illuminato. Meglio forse, così abbiamo pensato quando abbiamo iniziato a lavorare alla mostra, sfruttare le possibilità offerte da questo incontro inedito per guardare il lavoro di Guerzoni negli interstizi e nelle opere di passaggio.
Inoltre entrambi gli artisti, Modica e Guerzoni, sono, principalmente, pittori: lo è Modica, il cui lavoro specificatamente pittorico tocca note molto diverse (da una “quasi astrazione” fino a quadri configurabili come paesaggi), ma sempre all’insegna di un’immagine non progettata, di una processualità non programmata che ingloba approcci, materiali e tecniche differenti – pittura a spray, collage, carta disegnata quando non proprio scarabocchiata, oppure trattata a monotipo – per arrivare talvolta a una figura, a una cosa riconducibile al reale come indicazione di una possibilità e gesto conclusivo del processo pittorico; lo è Guerzoni, il cui approdo alla pittura avviene nei primi anni Ottanta, quando l’artista mette a punto il suo particolare modo di “agire” la superficie, per via di stratificazioni successive che donano al dipinto un forte spessore materiale, all’interno del quale, idealmente, le immagini finiscono per nascondersi o rivelarsi come ritrovamenti attraverso un lavoro di scavo (nel supporto) operato dall’artista, un processo di sottrazione e nuove aggiunte di colore e materia.
Nascosto in bella vista non è neppure, però, una mostra di dipinti (mi accorgo di aver speso molte parole, fin qui, a provare a descrivere ciò che la mostra non è, ma farlo significa anche ripercorrere a posteriori il processo di costruzione della mostra, i dialoghi e i pensieri che lo hanno accompagnato, rendendone partecipe lo spettatore), se si esclude un lavoro di Modica dal titolo LA CHACHA, un dipinto che si svolge a partire da un tessuto molto connotato (come spesso accade nella pratica dell’artista, che non si mette quasi mai di fronte alla tela bianca), una tovaglia con stampato un motivo di stelline, che Modica ha macchiato con pennellate libere e movimentate, che paiono accendere quel cielo o disperdersi in esso, e generarsi o riannodarsi da/attorno alla figura femminile al centro del ritaglio di fotocopia collocato sulla superficie.
La mostra, inoltre, contiene un lavoro di Guerzoni risalente a un periodo di passaggio tra fotografia e pittura, un periodo travagliato nel quale l’artista avverte l’esaurirsi della sua ricerca attorno alla fotografia, a cavallo tra anni Settanta e Ottanta e appartenente alla serie Spie: una fotografia, un piccolo volto che sembra un frammento di un affresco antico, fa capolino nello spazio stretto generato dalla crepa di una lastra di gesso, una lastra che identifica la superficie come una specie di muro; quel volto è dunque spia di un’immagine nascosta, un’immagine che sta sotto, visibile attraverso la crepa di un muro e custodita nelle sue pieghe materiali.
Spia è anche un lavoro che traduce in modo compiuto alcune delle suggestioni che il titolo della mostra, Nascosto in bella vista, sottende: nonostante la sottile crepa da cui emerge, quel volto/spia non può nascondersi, e la sua presenza entra potentemente nello spazio espositivo (chiamando lo spettatore ad avvicinarsi all’opera) a partire da un paesaggio di spessa materialità.
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Ho invece incontrato Lorenzo Modica pochi mesi fa, perché Giulia Biafore me l’ha fatto conoscere, era in corso una sua mostra a Roma e siamo andati a vederla. Quel primo incontro mise subito in evidenza che tra il suo modo di fare pittura e il mio di guardarla c’erano diversi punti di contatto (e infatti la conversazione fu incredibilmente sciolta): le parole figurazione e astrazione come categorie porose, con confini che si fanno evanescenti quando le devi usare per descrivere un dipinto; la predilezione per una figurazione balbuziente, provvisoria, frammentaria, che può stabilizzarsi come dato momentaneamente in equilibrio in una partitura di cose eterogenee; l’idea che l’emersione della figura sia un fatto inevitabile, o una possibilità che ha a che fare con un affioramento e inabissamento da/in un paesaggio di tangibile materialità e solo dopo una gamma di gesti compositi che intervengono sul supporto.
È proprio su questo piano, quello di un rapporto problematico con la figura, la cui presenza nei dipinti emerge ma confondendosi o compromettendosi con l’evidenza materiale dell’opera, che si svolge il dialogo tra Modica e Guerzoni. Nascosto in bella vista, ad esempio, allude a questa particolare qualità di una figura che si nasconde nelle pieghe materiali dell’opera, che si fa tutt’uno con esse, pur restando ineludibilmente presente: è un titolo di Lorenzo, un titolo di un suo lavoro di qualche anno fa prestato alla mostra, che Franco ha accolto con entusiasmo.
Nascosto in bella vista è dunque una mostra di immagini che si inabissano e riemergono, intermittenti e fragili, sincopate e instabili: come quelle contenute in Rêve Néolithique di Franco Guerzoni, dove una serie di carte di diverso formato, disegnate a grafite, carbone e cera, incise e graffiate, agite su entrambi i lati, perfino accartocciate e bloccate sul muro da due elementi in gesso, riproducono forme liquide e movimentate, irregolari e un po’ sfocate che sembrano derivare da un desiderio della mano di inseguire, abbandonandosi a essi, motivi geometrici ancestrali, primigeni, simili a quelli ceramici e rupestri appartenenti a ere molto remote.
Sulla parete opposta, invece, Untitled (vetrina) è un lavoro che Modica ha pensato appositamente per lo spazio della galleria: una partitura che si svolge su tre lastre di plexiglass appoggiate sul muro, una composizione/costellazione di immagini su carta, uno spettro che va dal monocromo della carta copiativa e della carta carbone alla stampa digitale, dalla fotografia alla pittura a spray e al semplice scarabocchio, in un continuo movimento di affermazione e negazione della figura all’interno del quale il lieve riflesso dello spettatore sulla superficie specchiante è un’immagine tra le immagini.
Davide Ferri