24/09/2024 - 04/01/2025

Giulio Paolini | Un posto vuoto





La geometria sacra di Giulio Paolini


Marina Dacci


 


Giulio Paolini trasforma lo spazio della galleria in un habitat che richiama la dimensione intima del suo studio e al contempo il suo processo creativo.
Al centro della stanza l'opera Ultimo modello riproduce l'entrata della sua dimora costruita come un labirinto con pareti di luce. Il visitatore avanza in una scena teatrale, sospinto a guardare "ad occhi chiusi" in un'attesa stupita l'arrivo delle immagini: apparizioni che si palesano e si incarnano purificate in opere depositate sul pavimento in plexiglas. Ma l'opera arriva senza farsi disvelare completamente, solo assaporare, in un costante afflato di rigenerazione.


L'artista, defilato, ne è fautore e, al contempo, testimone.
Una postura, quella di Paolini, simile all'Efebo proposto in quattro calchi in gesso posizionati ai lati di Ultimo Modello, che si guardano e paiono "non guardare": ospiti – come li definisce lui stesso – ma anche nocchieri e portavoce della possibile comparsa dell'opera in una sospensione temporale dal sapore metafisico.
Il rapporto con la linea diagonale è fortemente presente in tutto il progetto e riassume e amplifica l'idea di entrata e uscita, di accoglienza e di dipartita conferendo allo spazio della galleria una forza centripeta e una centrifuga. Nella diagonale che taglia i due angoli opposti della stanza due figure – Ebe e San Sebastiano – pare vogliano uscire di scena.
In Vertigo, Ebe, la dispensatrice di ambrosia, incede verso l'uscita. Il suo manto che scivola dal corpo eburneo lascia nella stanza un riverbero di luce azzurra. Come perpetuo enigma della Bellezza?
Al lato opposto, San Sebastiano scavalca il dolore della ferita rivolgendo il suo sguardo estatico verso un nuovo cosmo: una dimensione di energia rotante piena di luce e buio che la penna dell'artista, conficcata come una freccia, non può arrestare.
Vertigine e Estasi su cui appoggia lo sguardo dell'arte, sono stati mentali depauperati da tempo e spazio.
Sento l'opera di Paolini chiamare poesia piuttosto che scrittura critica: il suo abbecedario ci parla di infinito, enigma, identità, memoria e del tempo.
L'apparente compostezza del suo lavoro scardina confini ponendosi in uno spazio liminale tra affermazione dell'immagine e la sua negazione rispetto alle infinite possibilità dello sguardo.
Spazio e tempo sono assorbiti e al contempo negati nella consapevolezza dell'illuminazione che ogni volta vivifica l'immagine pur conservando memoria delle sue vite precedenti.
L'artista allora vive in uno stato di sospensione al pari dell'opera, la genera ed è disposto a superarla o addirittura interrogarsi sulla sua esistenza.
Sembra un paradosso, ma la compiutezza formale, inscritta in precise regole riconducibili alla geometria sacra, convive con lo scioglimento del segno in pura energia intesa come il mai dato, lo spostamento costante.
L'arte quando si manifesta ci abbaglia all'istante con la veste della verità. Apre squarci, mira all'assoluto, aspira talvolta a essere un dramma della coscienza, una persistenza dell'umano nell’uomo.





Galleria Studio G7