27/01/2022 - 04/03/2022

“Hand Land” a cura di Tatiana Martyanova. Milano, Group Show




Hand Land è un progetto espositivo sulla condizione dell’artista, che analizza il processo di concepimento e realizzazione di un’opera d’arte e di chi la crea attraverso il prisma del materiale utilizzato dall’artista e la sua “mano d’opera” come identità. Partendo dall’affermazione della storica dell’arte e curatrice Sharon Hecker, per cui “la bellezza è la scoperta di un nuovo punto di vista su un’opera d’arte”, il dialogo che la mostra collettiva Hand Land intende attivare è quello tra il corpus di un’opera d’arte e la sua metamorfosi visiva attraverso i lavori delle cinque artiste internazionali selezionate.


I materiali utilizzati per creare un’opera d’arte sono in grado di codificare la/le individualità dell’artista stesso in base al come e perché vengono interpretati. Il percorso della mostra diventa un’installazione in sé che invita lo spettatore a fare un viaggio atemporale nella Hand Land, dove il tatto è anche il terzo occhio delle opere, mentre la manualità riacquisisce il valore e svela i diversi livelli dell’io delle artiste.


Artista francese, vincitrice del Premio Xiaomi HyperCharge dell’ultima edizione di Artissima 2021, “la cui ricerca meglio comunica la carica che l’innovazione e la cultura sanno dare alla società contemporanea e di come l’arte possa essere il punto di partenza per riavviare un processo di trasformazione”1, Gillian Brett (Parigi, 1990), sceglie di usare gli scarti tecnologici come materiale per le sue sculture e installazioni – realizzate da componenti elettrici, resina, plexiglass, acciaio, alluminio, motori, degli schermi danneggiati o rotti – che vengono riciclati per dargli una nuova identità. Il fascino che troviamo all’interno dello schermo di E 170 Sc (After Hubble) (2020) o osservando la scultura Bionic Leaf (2021) è delicato e contrastante rispetto alla materia prima. I lavori della serie Smart Food: better for you and the planet (2020), sono una metafora della cecità contemporanea. La poesia si recepisce attraverso una costruzione nel presente dell’universo eterno, la (ri)nascita, e quindi la (re)identificazione di sé stessi all’interno della società del consumo che viene ripensata e riletta con sguardo critico.


Opera come medium.


Ayobola Kekere-Ekun (Lagos, 1993), artista nigeriana che lavora prevalentemente con la tecnica delquilling, in cui strisce di carta vengono modellate individualmente per creare forme, come una manifestazione tridimensionale di linee, creando insenature di luce e ombra. Il processo della creazione provoca e spinge la ricerca di sé in una modalità multistrato, come se il lavoro fosse una raccolta delle esperienze, un rituale, un esorcismo verso la propria identità attraverso società e culture circostanti. Secondo l’artista, i suoi quadri sono “tentativi di svelare le connessioni tra il sé e l’identità e il modo in cui si interfacciano con la memoria individuale e collettiva”. Le opere di Kekere-Ekun sono notevoli per la loro finitura perfetta e la natura tattile – ciò testimonia una propensione al lavoro visivamente stimolante. Nel dittico Founding members (2022) vediamo la costruzione di una nuova oggettività in dialogo tra l’immaginario e il reale: la rivelazione di essere noi stessi osservatori e giudici del proprio subconscio, del nostro essere semi-aperti, socchiusi verso entrambe le realità, esistente e surreale. Ricordando il pensiero di Umberto Eco, per cui “l’arte sempre nasce da un contesto storico, lo riflette ne promuove l’evoluzione”2, questo dittico acquisisce al contempo una connotazione psicologica e socio- culturale. La sua riflessione concettuale porta in luce un dialogo tra le tradizioni e la contemporaneità, sia all’interno della cultura nigeriana sia globalmente, ponendo delle domande su stratificazione/unione e sull’identità personale/collettiva come principali quesiti del suo lavoro. Opera come anamnesi.





Olivia Parkes (1989) artista anglo-americana che vive e lavora a Berlino, utilizza la pittura per esplorare il modo in cui i media condizionano la nostra percezione sia della storia che della vita quotidiana. L’identità sociale è l’oggetto dell’analisi profonda attraverso i fotogrammi su cartone telato che ricordano un po’ il cinema muto, un po’ i tabloid americani, assomigliando a collage della cultura visiva contemporanea. I quadri di Parkes presenti in mostra (tutti datati 2020) sono una narrazione creata dagli stop motions, carica di emozioni ed espressività. Influenze nord-europee si leggono in Can’t find the words, mentre Hand Land –– da cui deriva il titolo di questo progetto espositivo –– presenta un carattere surrealista, ed è una metafora della vita costantemente controllata da qualcuno. Che sia una forza superiore o il controllo mediatico, sotto la cui influenza siamo costretti a convivere nella società odierna, sta ad ognuno di noi accettare la situazione superando i conflitti. Il colore predominante è il blu intenso che contrasta il disordine, il caos sociale e invita all’introspezione (secondo la teoria dei colori è il simbolo dell’infinito, della fede, della pace), designando un rapporto stabile e privo di tensioni, (ri)costruendo ogni volta una relazione tra l’individuale e il collettivo. Opera come perturbazione.


Nei quadri cuciti di Harriet Riddell (UK, 1990), tutti datati 2021, il filo diventa lo strumento ideale per tracciare la linea delle eredità culturali nel presente. Giovane artista inglese, Riddell utilizza la macchina da cucire come strumento per creare delle narrazioni sulle tele, tracciando così il filo di Arianna che unisce le solide tradizioni artigianali con la fragilità dell’hic et nunc propria dell’era (post)pandemica. Come se l’identità frammentaria attuale venisse “(ri)cucita” con pezzi di stoffa recuperata, vissuta e trasformata dai dettagli della vita quotidiana. Così, Stay at home, che rappresenta una donna al centro della propria abitazione sproporzionata rispetto alle dimensioni di quest’ultima, con le tonalità forti del rosso simboleggia un grido del non accettare il presente dove le libertà basilari di un essere umano (come quella di muoversi liberamente) ci vengono private. Allo stesso tempo il quadro è anche un simbolo, una sorte di manifesto dei diritti civili e professionali di una donna, al centro di un mondo sotto tanti aspetti tuttora maschilista, dove ancora ad oggi esiste una linea invisibile che divide due mondi – che spesso è fortemente sconsigliato attraversare. Nasce quindi Stand behind the yellow line.


Opera come filo conduttore.


MJ Torrecampo (Filippine, 1992), artista filippina che vive e lavora in Florida, condivide con tutte le artiste presenti in mostra la scelta della (ri)costruzione e (ri)elaborazione della realtà, ma con un’analisi razionale e sociologica, che spesso presenta una connotazione politica. Come affermava Jacque Derrida, “il proprio di una cultura è di non essere identica a sé stessa. Non di non avere identità, ma di non potersi identificare, dire “io” o “noi”, di poter prendere la forma del soggetto solo nella non-identità a sé o, se preferite, nella differenza con sé”3. La varietà delle matrici culturali da cui Torrecampo attinge si può rintracciare a ogni livello della sua elaborazione artistica. Nei suoi acrilici su carta (tutti datati 2020) vediamo la riflessione sulla propria cultura, quella di origine e quella di adozione. In Under The influence of ogni elemento della società è sovraccaricato dai fili delle informazioni. In Quiet Steps vediamo la simbolica presenza di un altro Io, la voce del quale si riesce a sentire solo di notte. Opera come prisma.


Le artiste selezionate per Hand Land sono accomunate dalla condizione di essere giovani donne agli inizi della propria carriera, tuttavia riconosciute nel panorama internazionale. La loro ricerca è basata su mitologie personali, e il lavoro di ognuna si costruisce attraverso una rielaborazione concettuale del tema d’identità, analizzato da diversi punti di vista, attraverso tecniche e materiali svariati. Le cinque artiste, quindi, si potrebbero inscrivere nella categoria dell’artista come etnografo4 in quanto, attraverso la reminiscenza delle idee e l’atto del conoscere, analizzano e descrivono le situazioni più attuali trasmettendo dei messaggi attraverso le loro opere.


Medium, anamnesi, perturbazione, filo conduttore, prisma – sono cinque elementi sostanziali che identificano un’opera d’arte come tale. La forza espressiva è forse il mezzo più unico in assoluto, la veramano d’opera senza la quale non ci sarebbero le fondamenta per l’opera, così come alcun vero e proprioessere artista.







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