05/04/2022 - 07/05/2022
CORNELIA BADELITA
CONTINUU
testo di Fabio Cafagna
Per la seconda mostra personale alla galleria Peola Simondi, Cornelia Badelita presenta il progetto Continuu. I nuovi dipinti, realizzati tra il 2021 e il 2022, sono tavole dal formato insolito, alte dieci centimetri e lunghe un metro, disposte lungo le pareti all’altezza dello sguardo, con ritmo regolare. Se da lontano appaiono come moduli seriali, in una visione ravvicinata si rivelano originali nature morte, i cui elementi occupano, l’uno accanto all’altro, uno scabro piano d’appoggio.
Le lunghe tavole di Badelita nascono da una riflessione sulla predella, la fascia dipinta che solitamente faceva da corredo alla pala d’altare. Posta al di sotto dello scomparto centrale, aveva una funzione sia pratica, nascondere lo zoccolo inferiore della cornice, sia concettuale, estendere la narrazione con scene accessorie. Dal punto di vista linguistico, ogni predella è un parergo, ossia un’appendice, un elemento ausiliario. Continuu è, dunque, immaginato come una lunga nota a piè di pagina, come una digressione che si estende al di là di una narrazione a noi ignota.
Ispirazione del ciclo è la sconvolgente tavola di Hans Holbein il Giovane che raffigura Il corpo di Cristo morto nella tomba (1521). Il dipinto, che perseguitava Fëdor Dostoevskij, è di fatto una predella, un drammatico e maestoso parergo, alto poco più di trenta centimetri e lungo due metri, alla narrazione generale. Della scena, che segue la vita terrena di Cristo e precede quella ultraterrena, Badelita estrapola l’idea di un tempo e di un luogo sospesi, in cui la narrazione sembra congelarsi. A ricordo dell’opera rimane un panno bianco che, solitario, appare in una delle tavole in mostra.
Nello spazio allungato di queste moderne predelle, l’artista dispiega insolite nature morte, in cui l’amore per la pittura fiamminga si unisce all’indagine delle proprie ossessioni e della propria esistenza quotidiana. A oggetti di affezione che raccontano l’esperienza della maternità (colorate sculture modulari in mais, stelle filanti, palloncini ecc.) sono mescolati elementi tratti dai dipinti intimisti di Adriaen Coorte, misterioso artista vissuto alla fine del XVII secolo, di cui si conoscono poche opere dal sapore naïf. Il piano disadorno e il fondo scuro e cieco sono un omaggio a Coorte, così come le fragole selvatiche e le pesche che Badelita dissemina qua e là e duplica, generando nello spettatore una perturbante sensazione di déjà vu.
Nei dipinti dell’artista la duplicazione delle immagini è intesa sia come replicazione di iconografie e stili tratti dalla storia dell’arte sia come vero e proprio procedimento tecnico. Per soddisfare questa necessità di reiterazione, Badelita si è costruita un nuovo strumento per dipingere, di cui fa uso insieme a quelli tradizionali: un doppio pennello costituito da due pennelli congiunti per mezzo di un distanziatore. Difficile da maneggiare, questo strumento produce immagini per metà nitide e per metà sfocate, in cui figurazione e astrazione, volontà e caso sembrano mescolarsi. La pittura è così libera, finalmente strappata alle sue implicazioni mimetiche.
I dipinti di Badelita si muovono cautamente lungo il confine tra figurazione e astrazione, staticità e dinamismo, inazione e narrazione, passato e presente, cultura alta e popolare. Predelle o strisce di fumetti, sequenze di immagini allegoriche o registrazioni automatiche di associazioni inconsce: poco importa classificarle. Quel che più conta è che la loro messa in forma svolga per l’artista una funzione diaristica, se non terapeutica, di registrazione sismografica delle proprie ossessioni. Non sorprende perciò che come titolo della mostra sia stato scelto l’aggettivo rumeno continuu (“continuo”), in cui anche graficamente la ripetizione finale della vocale “u” rende l’idea di un processo cadenzato, che non ha fine.